Le Teglie di Montetiffi

Le teglie in breve

Cos’è la poesia di un luogo se non la gente che lo abita e l’ingegno con cui ha saputo adattarsi alle asprezze della propria terra, riconoscerne le qualità ed utilizzarne i segreti per dar forma a un modo di vivere. La storia delle teglie di Montetiffi è una di queste poesie, che abbondano per ogni dove e sebbene parlino tutte di genti, fatiche, estro ed invenzioni, è unica perchè racchiude in sè l’accesso a quel mondo che chiamiamo Romagna.
Sulla teglia si cuoce la piadina, per lungo tempo alimento immancabile sulla mensa di ogni familia contadina. Rapido da preparare, povero negli ingredienti e quindi alla portata di tutti.
“[…] tranne lo sbaffo di strutto in qualche giorno speciale, non si usavano grassi, e la piada, debole com’era, s’incurvava sotto le dita. Salvo indurirsi dentro la madia, per il mattino dopo; quando, immersa nel latte, le si risvegliava un sapore inacidito che i greni di sale qua e là addolcivano. A piegarla non si spezzava; e doveva essere così, perchè trattenesse quel po’ d’acqua , o di aceto, che il formaggio appena cagliato, oppure l’insalata, avrebbero altrimenti fatto sgocciolare.” (“Il nero Testo di Porosa Argilla”, Pier Paolo Zani, dall’introduzione di Sergio Zavoli)
La teglia, o testo, era appannaggio di Montetiffi, minuscolo paesino collinare dove veniva fabbricata, cotta, caricata sul somaro e venduta paese per paese, consumando la suola delle scarpe, il basto e gli zoccoli dell’animale.
Oggi il mestiere è tenuto in vita da Rosella e Maurizio, gi ultimi tegliai. Continuano a scavare la terra delle colline attorno a Montetiffi, a setacciarla, amalgamarla e darle forma per fabbricare i testi su cui mezza Romagna cuoce la piadina. Solo mezza, credo, quella che si dà il tempo per impastare la farina e  scaldare pian pianino la teglia. L’altra metà usa la teglia di ferro, più rapida, o si reca al chiosco più vicino.